Sull’ultimo numero del 2012 di Nature è stato publicato un articolo, firmato dal giornalista inglese Jamie Goode, che parlava dei rischi per il settore vitivinicolo legati ai cambiamenti climatici. Ora, Nature non è Le Iene e non lancia allarmi mediatici o antiscientifici solo per riempire i Social network e aumentare l’audience. Nature è Nature, basta la parola.
Secondo i climatologi nel giro di pochi anni (cioè entro la fine del secolo) il limite di coltivazione della vite si sposterà di circa 1000 chilometri, verso Nord nel nostro emisfero verso Sud nell’altra metà del mondo. Nei paesi di maggior tradizione vitivinicola, che basano l’espressione della qualità sulla relazione suolo/clima/attività umana, detta in una parola di successo sul terroir, questo può avere riscontri drammatici. Significa che nel giro di pochi decenni potrebbero non esserci più le condizioni per produrre un Borgogna o un Chianti Classico, perchè mettiamo anche che le condizioni climatiche si possano ritrovare più a Nord (o più in alto) e anche che i saperi dell’uomo e le varità si possano trasferire, che dire del suolo?
La vite non è una pianta cosmopolita, si adatta ad una fascia climatica abbastanza ristretta e ogni varietà ha un diverso grado di adattamento ai cambiamenti per cui è difficile dire oggi come cambierà il panorama del mondo vitivinicolo.
Letto questo comincio a fare le mie ricerche e scopro che in ambiente scientifico le previsioni riportate da Jamie Goode si allineano con il primo allarme lanciato nel 2005 da Gregory Jones, un ricercatore della South Oregon University.
Una review completa è quella, non attualissima, riportata dai ricercatori della Staford University su Practical Winery and Vineyard Journal.
C’è poco da stare allegri.
Poi arriva febbraio con Benvenuto Brunello, la manifestazione di presentazione dell’annata in uscita del Brunello di Montalcino nella quale vengono assegnate anche le stelle (la valutazione della qualità) all’annata appena conclusasi. Quest’anno toccava al Brunello 2012: cinque stelle. E scopro che mentre il mondo guarda preoccupato ai cambiamenti climatici i produttori ilcinesi fanno festa. Il messaggio è che il Brunello (o meglio il Sangiovese a Montalcino) non risente dei cambiamenti climatici.
Telefono al mio amico Marco (dott. Marco Mancini) che si occupa di agrometereologia e di relazione tra cambaimenti climatici e qualità dei vini all’Università di Firenze e gli chiedo come stiano le cose. E lui mi spiega che in effetti è così, gli studi del gruppo di ricerca di Firenze e quelli di altri gruppi in giro per il mondo hanno verificato che nel breve periodo gli innalzamenti di temperatura e la riduzione delle piogge nel periodo estivo-autunnale sono correlabili con un incremento della qualità percepibile dei vini (le stellette delle annate). Almeno per i vini rossi. Fino a quando e in quale misura in funzione della varietà non ci è dato saperlo, chi vivrà vedrà.
I cambiamenti climatici e le loro conseguenze sono un fenomeno globale e come tali devono essere affrontati a livello altrettanto globale, dai governi e dalla politica prima di tutto. La scienza e i settori della produzione più minacciati (come l’agricoltura) hanno il compito di esercitare la loro pressione sui primi. La scienza (anche gli scettici ultimamente hanno cambiato idea) sta facendo il suo lavoro, i produttori non saprei. Perchè è vero che il Brunello 2012 sarà una gran bella annata e che dal 2018 potremo gioire dei frutti di questa strana estate, ma più che questo mi sarebbe piaciuto sentir dire “signori miei, nel 2018 avremo un Brunello con i fiocchi, ma non pensate che la situazione si stia facendo preoccupante e che per dare un futuro a queste produzioni (ad alto valore aggiunto, che resistono alla crisi e rappresentano una fetta importante del PIL nazionale) sia il caso di fare qualcosa di concreto che ponga un freno al riscaldamento globale?”.
Leggere Nature e sentire i produttori ilcinesi che applaudono nel loro paradiso dorato (del quale hanno tutto il merito) però mi mette a disagio e mi fa pensare ad una metafora che mi piace molto e che si applica a diverse situazioni, quella della rana bollita.
Si tratta di questo.
Se prendete una rana (non lo fate per carità) e la mettete in una pentola di acqua bollente la rana si accorge del cambiamento sfavorevole e scappa (“sono mica scema”).
Se però mettete la rana in una pentola di acqua fredda e poi accendete il fuoco sotto la pentola, la rana resta lì. E via via che la temperatura sale lei si adatta (è un animale a sangue freddo), anzi a un certo punto ci sta proprio bene al calduccio, sempre meglio. Finchè per la temperatura che sale non si trova a provare un piacevole stordimento, finchè non si ritrova bollita. Fine della storia.