1886 – una discussione alla Camera sulle pratiche enologiche

spinolaCorre l’anno 1886 e il Marchese Giacomo Ugo Spinola pubblica un opuscoletto di 70 pagine, il “Vademecum del Fabbricatore del Vino” che dedica al cugino, Duca di Sora con questa introduzione:

Carissimo amico, è qualche tempo che mi vado occupando di enologia e tu più d’ogni altro sai bene che la mia principale lettura sono i giornali vinicoli, le opere che trattano del vino, e i riassunti delle conferenze enologiche” (e qui urge il disclaimer: tra me e il Marchese Giacomo Ugo non corre nessun legame di parentela nonostante alcune affinità o manie con la mia persona e urge anche che sappiate che leggendo e disquisendo sulla sua opera mi è naturale assilmilarne il linguaggio nonchè l’eloquenza, vogliate quindi, gentili lettori, scusarmene). “Sicchè spero non riderai alle mie spalle, e non mi darai del saputello, se ancor io voglio dire la mia opinione in questo volumetto su molte questioni che si agitano fra tanti enologi (è tutto vero non stiamo parlando della sottoscritta ma di Giacomo Ugo). Molti è vero ne hanno scritto opere più o meno voluminose, ma nessuno, che io mi sappia, trattò la cosa in modo veramente pratico, come cerco di fare io nella presente. Se vi sono riuscito lo dirai tu, che con successo ti sei dato alla confezione dei vini e a migliorare i metodi comunemente in uso nella provicia dell’Umbria. Intanto gradiscila come è, e in omagio alla nostra amicizia soffri in pace le poche ore di noia che la lettura della medesima sarà per arrecarti. Credimi sempre, tuo affezionatssimo amico e cugino, Giacomo

Ecco un castigo, praticamente Giacomo Ugo scrive un libro per fare dispetto a suo cugino.

Di molte cose interessanti tratta il Marchese Spinola nel suo trattatello dato alle stampe a Bologna dalla Tipografia Mareggiani, come già ho avuto modo di dirvi nel 1886. Di come si scelga il periodo più adatto per la vendemmia, di come disporre la cantina (lungi dalle strade maestre, dalle latrine e dalle concimaie), di come pulire le botti (se necessario ricorrendo a una soluzione di acido solforico e acqua), di come pressare le uve con il Torchio della Ditta Alessandro Calzoni o Cicognani in Roma (sig, la marchetta travalica la nobiltà). E poi della fermentazione, del dubbio sul fare follature o fermentare a cappello sommerso, i travasi, l’arricchimento, le chiarifiche con la chiara d’uovo o la colla di pesce e le filtrazioni con il filtro olandese e anche dell’alcolizzazione, del riscaldamento del vino o dell’uso del congelamento e dell’elettricità.

Ma la parte più interessante, che il caro Giacomo Ugo piazza al centro del suo opuscoletto, tra i trattamenti fisici e la correzione dei difetti è quella della quale mi occorre qui e oggi riportare il testo integralmente, invitandovi di dimenticare i tempi nei quali essa fu scritta e considerandone l’attualità dell’argomento.

Il titolo del capitoletto che vi sottopongo è

Sulle diverse manipolazioni dei vini e se siano lecite e che se ne disse alla Camera”

Tempo fa  stata nominata una commissione, con l’incarico di studiare quali manipolazioni s potessero permettere nella fabbricazione del vino. Ecco il disegno di legge che fu presenato alla Camera il 26 marzo di quest’anno e discusso il 31 (ci mettevano solo 5 giorni, da non credere).

Disegno di legge del Ministero

Art. 1: È adulterazione o sofisticazione l’aggiunta ai vini di qualsiasi materia che non sia identica a quele che naturalmente vi sono contenute. Anche le sostanze identiche a quelle naturali dei vini, si considerano adulterazioni o sofisticazioni, quando sieno aggiunte in quantità eccedente, dentro certi limiti, le proporzioni che usualmente si trovano nei vini. il vino così adulterato o sofisticato è considerato quale vino artifiziato”

Art. 2: I vini artifiziati non possono mettersi in commercio se non accompaganti da una dichiarazione, che indichi esplicitamente e con ogni chiarezza la natura della merce. la macanza di tale dichiarazione fa presumere che il vino sia genuino.

Art. 3: Con reale decreto, su proposta del Ministero dell’Agricoltura,, Industria e Commercio, (il Reale Decreto, il Ministero dell’Agricoltura, sembra di essere in un’operetta…), saranno stabilite agli effetti della presente legge le sostanze il cui uso è vietato nella manifatturazione dei vini, ed i limiti di quantità entro cu certe sostanze possono essere tollerate nei vini stessi”.

Art. 4: Le infrazione agli articoli 2 e 3 della presente sono puniti con multa di lire 51 estensibili a Lire 500 ed il vino adulterato o sofisticato è confiscato, salvo le pene maggiori contro coloro che si rendessero anche colpevoli di reati previsti dal Codice Penale”

Art. 5: Se un venditore rifiutasse di vendere il vino alle autorità, o ad un privato cittadino che dichiarasse volerne fare acquisto per fare l’analisi, o non volesse fornirne le quantità necessarie per le analisi stesse, può essere punito con una multa estensibile a Lire 100″.

Come ognuno vede questo disegno di legge è giustissimo e nessuno avrebbe potuto dubitare della sua approvazione, salva tutt’alpiù qualche lieve modificazione.

Purtroppo invece non è stato così. Sorse più di un difensore dei vini misturati e fra questi mi si permetta ricordare l’Onorevole Romeo, il quale dopo lunghe argomentazioni intese a dimostrare che questa legge incaglierebbe il commercio vinicolo, ecco come chiudeva il suo discorso: “Voi sapete come nel campo della scienza astratta, teoretica, e nel campo pratico ancora non si sia deciso nemmeno se quelle sostanze che generalmente sono credute dannose per la manifatturazione dei vini, di fatto lo siano. Avete l’esempio della fuxina, avete l’esempio del rosso d’anilina: ebbene il Consiglio superiore di Sanità nostra ritiene che la fuxina non sia una sostanza dannosa, sempre ed in tutte le proporzioni. E voi direte che uno dei principali motivi che si è posto innanzi (non se ne è potuto precisare altro) per giustificare l’assoluta necessità di questo disegno di legge è appunto il bisogno di impedire l’uso della fuxina e del rosso d’anilina. Io non vi dico che queste sostanze si possono mescolare impunemente nel vino, quantunque credache, in certe proporzioni e purificate completamente, possno essere innocue, ma dico soltanto che il disegno di legge è in contrapposizione alla scienza.”

Ora per chiarirsi, se la fuxina (che è come potete bene immaginare di color fucsia) è nota prevalentemente a chimici, biologi e analisti in quanto usata come colorante dei preparati istologici in laboratorio, l’anilina è la prima sostanza riconosciuta come cancerogena nella storia (nel 1895 già si sapeva) e probabilmente molti la ricordano in quanto è il colorante che Giannino Stoppani, in arte Gianburrasca, e i suoi “congiurati” già consci della pericolosità del colorante, aggiungono alla lavatura dei piatti per smascherare la scarsa genuinità del minestrone preparato nel collegio e ottenere l’agognata pappa col pomodoro. “– Ragazzi! nessuno mangi questa minestra rossa… Essa è avvelenata! – A queste parole i collegiali lasciano cadere il cucchiaio sulla tavola e rissano gli occhi in faccia a Barozzo esprimendo il massimo stupore. La direttrice, il cui volto è diventato anche più rosso della minestra, accorre e afferrato il Barozzo per un braccio gli grida con la sua voce stridula: – Che dici? – Dico – ripiglia il Barozzo – che non sono le barbe che tingono di rosso la minestra ma è l’anilina che ci ho messo io! -“

E infatti il nostro Giacomo Ugo Spinola non se le beve le parole dell’Onorevole Romeo dalle quali emerge che l’applicazione del principio di precauzione sia ancora fantascienza e prosegue:

Capite a che punto siamo giunti? Si difendno puranco la fuxina e l’anilina, perchè ben depurate e in certe circostanze e dosi forse non faranno male. sarebbe lungo citare quanto egregiamente dissero gli onorevoli Toaldi e Torigiani in quel giorno per ribattere queste massime, ma purtroppo inutilmente, giacchè la legge in luogo d’esser votata, fu rimessa allo studio della commissione. Vedete dunque che non a torto nella prima edizione di questo libretto io scrivevo “Intesi dire da taluno che ogni manipolazione dovrebbe essere permessa quando il prodotto non riesca dannoso per la salute e vi è da temere che questa idea possa farsi strada col pretesto di non porre inciampi all’industria del vino.” Del resto chiunque abbia appena qualche cognizione di chimica, sa che può fabbricare un liquido, che analizzato (analizzato nel 1886, attenti, adesso non vale) mostri avere le stesse sostanze, e nelle proporzioni medesime, che si trovano nel vino fatto col mosto,  sugo dell’uva, di cui è chimicamente impossibile di riconoscere con certezza la falsificazione (siamo nel 1886, ricordatelo bene uomini e donne del 2019, che non vi vengano strane idee perchè oggi questo non è più vero).

Dall’altro lato, il vino artificiale, anche quando all’analisi risulti affatto simile al naturale , ha sull’organismo animale degli effetti diversi da quelli del vino naturale, in causa della presenza di alcune sostanze, che nella maggior parte dei casi sfuggono all’analisi. È per questo che noi riteniamo che qualsiasi manipolazione che serva alla fabbricazione o totale o parziale del vino, deve ritenersi non solo come una frode dal punto di vista del Codice Penale, ma come un proprio e vero attentato alla Pubblica Igiene. Il permesso di fabbricare in tutto o in parte artificialmente il vino, aprirebbe un campo larghissimo ad ogni specie di frodi, che avrebbero gravissime conseguenze per l’idustria vinicla. I nostri vini verrebbero inesorabilmente esclusi dal commercio degli altri paesi, perchè le leggi che dappertutto tutelano il commercio del vino sno severissime. 

La legge tedesca dice per esempio: “si può vendere come vino una bevanda che sia il prodotto della fermentazione alcoolica del mosto-uva senza alcuna aggiunta. La preparazione del vino secondo i metodi di Lehaptal, di Petiot ecc., non è permessa che sotto la condizione che il vino così ottenuto sia venduto come vino preparato con quei metodi” La stessa legge ritiene falsificati i vini, ai quali sono aaggiunte sostanze coloranti, quando anche innocue, i vini gessati, quelli ai quali è stato aggiunto allume ….(pratiche come l’aggiunta dell’enocianina, o la gessatura erano buone pratiche che il Marchese Spinola descriveva come buone pratiche enologiche non come artefazioni del vino).

La legge Francese e la Svizzera non sono meno severe. Ecco perchè anche fatta astrazione dalla questione igienica, noi crederemmo estremamente pericolosa all’industria nazionale l’autorizzazione, che si volesse dare alla manipolazione dei vini, colla sola restrizione che siano innocue. parmi necessario che all’estero si sappia non solo che queste manipolazioni non sono in uso nel nostro paese, ma che il Governo le vieta ed il Codice penale art. 416 le punisce. a questo proposito leggo sulla Settimana 4 gennaio 1886 queste assennate parole “Non v’è che dire, anche in Italia a nostra somma vergogna comincia a infltrarsi il mal seme della sofisticazione. Anche nella terra di Bacco tenta le sue gherminelle lo scaltro Mercurio, anche qui da noi s’installano gli acciarpatori coi loro segreti fatti apposta per smungere le tasche dei gonzi. Viticoltori, enologi, cantinieri all’erta! Non vi lasciate prendere all’esca, ridete in viso a questa gente, e dite loro che rimontino le alpi donde sono scesi, poichè nella vecchia Enotria anche gli sterpi danno vini, che senza bisogno di pastrocchi, possano farci onoere in qualsivoglia paese!”

Speriamo che in breve la legge sarà ripresentata alla Camera ed approvata a pieni voti. Gli enologi onesti d’Italia ne saranno soddisfatti.”

Adesso torniamo a noi, uomini e donne del 2019.

e stiamo bene attenti: quando parla di vino artificiale, di manipolazioni e di sofisticazioni il Marchese Spinola fa riferimento non a qualsivoglia utilizzo di coadiuvanti perchè delle tecniche di chiarifica e correzione ne parla estesamente anche negli altri capitoli dell’opuscolo. L’uso che fa di questi termini è estremamente moderno e riguarda vini ottenuti al di fuori di norme di sicurezza alimentare e di garanzia di qualità che egli ritiene già da allora necessarie.

Norme che poi in effetti abbiamo atteso a lungo (la prima legge quadro italiana è del 1965 e il primo Regolamento Europeo del 1979) ma sulle cui definizioni il pubblico ancora non ha le idee molto chiare (ne ho parlato anche su Vinix qui https://www.vinix.com/myDocDetail.php?ID=9136).

Perchè i buoni vini di una volta…non erano sempre così sicuri, sani, genuini e buoni e le famigerate “polverine” per fare il vino vengono ahimè proprio da quel passato.

Oggi per il vino come per tutti gli altri alimenti esiste una legislazione che norma l’uso di ingredienti, additivi e coadiuvanti ammessi per uso enologico e che definisce il vino come il prodotto della fermentazione di uve di Vitis vinifera europea, ottenuto con le pratiche enologiche consentite.

I prodotti ammessi sono elencati in un elenco positivo e hanno diverse funzioni.

In nessun caso i prodotti enologici devono servire per colorare o trasformare un vino in un altro vino o l’acqua in vino o un sottoprodotto (le vinace, le fecce, gli estratti) in vino ecc… cosa che ai tempi del Marchese accadeva invece eccome (come dimenticare la “Polvere Enantica, composta con acini d’uva ed erbe fragranti per preparare con tutta facilità un buon vino rosso di famiglia, economico e garantito igienico.”?)

 

 

 

 

Please relax, parte 2: la solforosa nemico pubblico numero 1

L’anidride solforosa è un conservante e un antiossidante ampiamente utilizzato nell’industria alimentare, è tossica per ingestione e per inalazione (per cui chi la utilizza deve usare determinate precauzioni), mentre nelle dosi consentite e presenti negli alimenti rappresenta un rischio in modo particolare per i soggetti sensibili e allergici.

Per giunta è uno dei pochi additivi autorizzati per essere utilizzati nel vino, gli altri prodotti per uso enologico (molti) sono considerati coadiuvanti e cioè hanno contatto con il prodotto solo in relazione ad un determinato processo per poi essere rimossi o consumati (nella realtà si tratta di una classificazione merceologica abbastanza discutibile perche anche dei coadiuvanti nel vino resta molto o almeno molti di questi sono utilizzati proprio in quanto in grado di cedere al vino composti che lo stabilizzano o lo migliorano).

La solforosa invece si aggiunge al vino e qui rimane fino al bicchiere. Per questo motivo da alcuni anni e per effetto di una direttiva europea sull’obbligo di indicare l’eventuale presenza di allergeni in etichetta su tutti gli alimenti, anche sull’etichetta dei vini trovate la dicitura “contiene solfiti” in tutte le lingue del mondo. Questo non è piaciuto soprattutto ad alcuni produttori ma la solforosa c’è e se se ne fa uso è giusto che la si indichi.

A meno che non se ne faccia a meno.

Se non si aggiunge solforosa e il livello resta inferiore ai 10 mg/l (perchè i lieviti possono produrla nel loro metabolismo per cui può essere presente anche se non è stata aggiunta) l’obbligo di indicarla in etichetta decade (perchè cessa il rischio per i soggetti allergici, non per premiare il produttore).

Ora se da più di un secolo si utilizza solforosa un motivo c’è. Forse è vero che potendo avere a disposizione una soluzione così efficace e a buon mercato non siano state cercate alternative. Bene adesso è venuto il momento di farlo, è così che si deve muovere la ricerca applicata, cercando soluzioni quando si presentano le necessità (ma anche prima non guasterebbe).

Perchè la solforosa nel vino?

La solforosa ha una doppia azione nel vino, serve come antiossidante e serve come antisettico.

La prima cosa vuol dire che serve per preservare il vino dalle ossidazioni (i difetti che vengono descritti con i termini di svanito, maderizzato, aranciato, imbrunito, e naturalmente ossidato) in quanto interrompe i processi di ossidazione ossidandosi essa stessa. Diciamo che la solforosa fa da barriera chimica all’ossigeno dell’aria. Per contenere il contatto e l’azione dell’ossigeno ci sono delle buone pratiche che possono essere applicate per esempio utilizzando i gas tecnici (l’azoto o l’anidride carbonica) o altri antiossidanti naturali come i tannini estratti da uva, ma anche cose semplici come curare le colmature dei contenitori, utiizzare pompe adeguate o sfruttare il principio di caduta nei travasi e nei riempimenti aiutano. L’applicazione di questi accorgimenti riduce la necessità di utilizzare la solforosa come antiossidante soprattutto nei vini rossi che contengono di per sé moltissimi antiossidanti, i composti polifenolici.

L’azione antisettica della solforosa è più difficile da sostituire. Lo scopo è quello di inibire l’azione di alcuni micro-organismi, batteri e lieviti, che producono sostanze negative per la qualità dei vini (come l’acido acetico o l’acetato di etile, che sono la causa dell’odore di aceto, per esempio). Mentre tutti i batteri sono sensibili alla solforosa, per alcuni lieviti non desiderati già la solforosa manifesta qualche limite. Perchè vi sono alcune specie particolarmente temibili, come Brettanomyces, responsabile dell’odore di sudore di cavallo o di scuderia (chi non lo vorrebbe nel suo vino?), resiste in alcune condizioni anche a dosi di solforosa che potremmo dire per l’appunto quasi da cavallo. Come fare per ridurre la necessità di solforosa senza che i microorganismi indesiderati banchettino con i vini?

Ovviamente ridurre fisicamente le popolazioni presenti in cantina con spazzole, ramazza e vapore (perchè se si vuole igienizzare un ambiente non ci sono solo i sanificanti di sintesi) è fondamentale. La necessità di igiene negli ambienti e nelle attrezzature di cantina è una delle conquiste più importanti della tecnica enologica.

Perchè si debba pensare che una cantina possa o debba essere sporca è qualcosa che continuo a non afferrare.

Il motivo per cui per secoli le cantine sono state poco pulite è legato al fatto che si è da sempre considerato il vino come un ambiente inospitale per i micro-organismi dannosi per l’uomo. In vino, grazie alla presenza dell’alcol e all’assenza di sostanze appetibili, non si sviluppano batteri o lieviti che possano provocare intossicazioni alimentari. Il motivo è solo questo, niente a che fare con la qualità dei vini. E’ evidente che a partire da Pasteur è stato più facile e necessario introdurre i principi di igiene in un caseificio o in uno stabilimento che fa conserve che in una cantina.

Se produco latte o conserve e non rispetto le norme igieniche e per mia disgrazia (ma poi neanche tanto) incappo in un inquinamento microbiologico il rischio è di mandare qualcuno in ospedale o peggio, se produco vino mal che mi vada faccio un vino cattivo.

Ci sono sostanze di origine naturale pericolose anche nel vino (oltre all’alcol)

Tutto questo è vero fino ad un certo punto perchè anche nell’uva e nel vino vi sono dei micro-organismi (che devono essere tenuti sotto-controllo, tanto più se non si fa uso di soforosa e prodotti chimici in vigneto) in grado di produrre tossine dannose per la salute umana.

Sull’uva possono essere presenti le ocratossine prodotte da alcuni funghi del genere Aspergillus e Penicillum e che sono responsabili di intossicazioni anche gravi (e per questo motivo esiste un limite di legge).

I batteri lattici del vino invece sono in grado di produrre ammine biogene (istamina, tiramina, 2-fenilalanina, putrescina e cadaverina) che sono attive sul sistema circolatorio e sul sistema nervoso e causano effetti come mal di testa, rossori, palpitazioni e reazioni allergiche a seconda della loro concentrazione e della sensibilità dei singoli individui. Inoltre le ammine biogene sono i precursori di sostanze come le nitrosammine considerate cancerogene.

Filtrare?

Oltre alla solforosa per ridurre la carica microbica o eliminare i micro-organismi dal vino vi sono poi le tecniche di separazione fisica, giro di parole per dire che per togliere le cellule la tecnica del colino funziona sempre: il vino si può filtrare e a seconda della dimensione dei pori delle membrane lieviti e batteri restano da una parte e il vino se ne va bello e pulito dall’altra.

Qualcuno trova poco naturale e rispettosa dell’integrità del vino anche la filtrazione. A questo riguardo posso solo dire che in effetti alcune tecniche di filtrazione, come la filtrazione a farina per alluvionaggio o la filtrazione a cartoni, trattengono alcune macromolecole “buone” come i polisaccaridi, possono arricchire il vino in ossigeno (ma solo se non si applicano determinati accorgimenti) e di conseguenza lo impoveriscono anche dal punto di vista qualitativo. Ma sebbene ancora molto diffuse nelle cantine queste sono tecniche superate; le tecniche più avanzate, la microfiltrazione e la filtrazione tangenziale, sono molto più rispettose della qualità dei vini, i materiali delle membrane sono molto cambiati e ci sono molte evidenze sperimentali che hanno messo a confronto vini filtrati e non filtrati dopo alcuni mesi dall’imbottigliamento senza trovare alcuna differenza organolettica. E invece chissà perchè in tema di filtrazione si pensa che un filtro a cartoni magari un po’ scassato sia comunque più amichevole di un housing brillante (che è il contenitore in acciaio chiuso ermeticamente che contiene le cartucce di microfiltrazione). Provare per credere: alla domanda “all’imbottigliamento che fai, microfiltri?” i produttori naturali risponderanno “nooo, al massimo passo a cartoni!! Ce l’ho là il filtro ma non lo uso quasi mai, era di mio padre!”.

Ecco, mettiamoci per un attimo nei panni del vino (visto che ha uno spirito vitale possiamo anche pensare di interpretarne le sensazioni).

Passare da un filtro a cartoni è un po’ come andare a sbattere a 150 all’ora contro un muro traforato posto in mezzo all’autostrada. Qualcosa di noi passerà dall’altra parte..Passare da un microfiltro è un po’ come passare dal casello, bisogna rallentare, centrare la porta, ma dal’altra parte siamo sempre noi. Un filtro tangenziale è un muro in curva, se ci si va a sbattere con con un braccio ci vorrà magari un po’ di tempo ma poi si torna nuovi come prima. Il filtro a cartoni del nonno vi sembra ancora tanto amichevole?

(Nota di scuse: Nella comunicazione scientifica la metafora è un mezzo di comunicazione generalmente efficace, spero lo sia stato anche in questo caso, non me ne vogliano gli specialisti della filtrazione e non me ne vogliano tutti i lettori per l’immagine spiacevole dell’autista spiaccicato contro il filtro a cartoni).

La qualità è nulla senza il controllo

Cosa succede quindi se

  1. non si usa solforosa;
  2. non si filtrano i vini
  3. non si osservano strette norme igieniche;
  4. non si usano precauzioni per limitare le ossidazioni;in altre parole si abbandona il vino a se stesso e senza controllo?

Pensate che la mia risposta sia “ si farà un vino cattivo”? E invece no, cioè non necessariamente. Perchè occorre pensare non in termini di eluttabilità o di aleatorietà dei processi chimici e biologici ma in termini di probabilità che un certo evento accada. O meglio in termini di probabilità del rischio che ciò si verifichi. E se io sommo insieme il rischio di andare incontro a delle alterazioni della qualità del mio vino dato dai punti 1, 2, 3 e 4 raggiungo un punteggio molto alto. L’importante è saperlo. Se penso che comunque (che sia per i miei principi di naturalità o di sostenibilità o per il mio credo religioso non fa differenza) sono costretto comunque ad applicare i punti 1, 2, 3 e 4 nella mia cantina devo essere cosciente che mi espongo ad un rischio elevato. A volte, se il cielo mi assiste, avrò vini corretti, forse eccezionali, ma altre (credo la maggioranza perchè le condizioni favolrevoli si sommano e aumentano le probabilità) avrò vini con delle alterazioni, a volte lievi, a volte importanti. E devo anche essere cosciente del fatto che il rischio è mio e non del mio consumatore o del mio acquirente, se un vino risulta alterato colui al quale l’ho venduto deve essere libero di dire “mi fa schifo, riprenditelo”.

Come posso ridurre il rischio e contenerlo? Le risposte sono due: il controllo e le buone pratiche. Applicare un controllo in presenza di un rischio è fondamentale in tutti i processi produttivi, e naturalmente deve crescere con il crescere dell’esposizione al rischio. Se mi espongo ad un rischio microbiologico e so che Brettanomyces è in agguato, la strategia migliore è valutare il rischio con un’analisi microbiologica. Conoscere il nemico prima che attacchi è sempre una tattica vincente.

Se voglio ridurre le necessità di intervento al controllo sarà meglio unire le buone pratiche e rinunciare ai punti 3 e 4 che in fondo quali motivi hanno se non quello di ignorare le conoscenze che abbiamo sui rischi di alterazione dei vini?