Bei mi’ tempi: la chiarifica dei nostri nonni.

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L’arte di fabbricare e conservare i vini, Venezia, Colombo Coen Editore, 1873.

Con questo post inauguriamo una nuova sezione che chiameremo Bei mi’ tempi (trad. Bei tempi andati) o anche Ritorno al passato o Quando i Mulini erano bianchi. Sarà il come eravamo della viti-enologia nostrana.

L’intenzione è di dare uno scorcio realistico di come si faceva vino e agricoltura nel nostro passato, di come facevano i nonni, quelli che nell’immaginario collettivo cavalcato da molti producevano in modo genuino, non usavano artefatti e seguivano la natura. Lo scopo è di rompere l’incantesimo (mi dispiace spesso mi capita di rompere) e scoprire che i mulini, carissimi, non sono mai stati bianchi. E che noi (donne e uomini dei nostri tempi intendo), ne sono convinta, siamo molto più rispettosi dei nostri territori e consapevoli delle conseguenze che hanno le nostre azioni sui prodotti, sulla salute e sull’ambiente di quanto lo siano state le generazioni che ci hanno preceduto. Non fosse altro perchè ci siamo dati delle regole.

La possibilità me la danno una serie di volumi, manuali, cataloghi di viticoltura ed enologia pratica che i miei antenati (in casa Biondi Bartolini vigeva la regola di non buttare via nulla, nemmeno le lampadine fulminate, che non si sa mai..) per più di un secolo hanno conservato e utilizzato e che io da qualche anno sto raccogliendo e collezionando. Di volta in volta ne riporterò dei brani, sui cui argomenti ancora si discute.

Non li commenterò, parlano da soli e poi gli autori non potrebbero rispondere a loro discolpa. Li troverete divertenti nella lingua e nei contenuti e faranno riflettere molto sul concetto di genuinità e naturalità, del quale già allora si parlava ma sul quale si sono fatti passi da gigante. E vedrete che coloro che riescono a lavorare oggi con successo su questi concetti stanno facendo quancosa di nuovo, non stanno tornando al passato!

Oggi parleremo di cure del vino dopo la fermentazione, ovvero di chiarifiche.  Dal punto di vista tecnico si parla più che altro di chiarifiche proteiche (albumine, colla di pesce) con alcune intrusioni. Ad esempio la gomma arabica che in realtà stabilizza quanto si trova in sospensione (è un cosiddetto colloide protettore) e sfido chiunque con l sua aggiunta a chiarificare e cioè rendere limpido un vino torbido. Poi ci sono il sale, l’acqua marina, le selci calcinate e chi più ne ha più ne metta, ma l’ho già detto non commento e non giudico.

La fonte è “L’arte di fabbricare i vini”, Venezia, Colombo Coen, Editore, del 1873, la cui copertina ci regala anche uno spaccato del simpatico modo di abbigliarsi del cantiniere di quel tempo (il colbacco ad esempio lo trovo meraviglioso e anche estremamente pratico no?). Vi lascio solo con una domanda: qualcuno mi sa dare una definzione di “feccia volante” sulla quale mi interrogo da diversi giorni?

Il travasamento del vino separa bensì una parte delle sue impurità, ed allontana per conseguenza alcune delle cause, che possono alterarne la qualità, restano però ancora sempre delle materie sospese in questo fluido, che non si possono espellere senza la pratica delle operazioni comprese sotto la denominazione di collatura dei vini.

Serve quasi sempre a tal uso la colla di pesce, e questa si adopera come segue: conviene svolgerla con attenzione, tagliarla in piccoli pezzi, stemperarla in un poco di vino, ove si gonfia, si ammolla e forma una massa vischiosa, che si versa sul vino; viene allora fortemente agitata e poi lasciata in riposo.

Vi è chi usa di sbattere il vino, nel quale è stata disciolta la colla, con mazzetti di canne da granata, per cui vi solleva moltissima spuma, che viene diligentemente levata; in ogni caso però una porzione della colla si precipita con le materie da lei inviluppate e quando è formato il suo deposito si travasa nuovamente il liquore.

Nei climi caldi si teme l’uso della colla, ed in estate vi si supplisce con degli albumi d’uovo: cinque o sei bastano in una mezza botte, pei vini delicati e poco colorati bastano anche tre o quattro.

Si comincia sbattendoli con un poco di vino, poi si mischiano col liquore che si vuole chiarificare e si sbatte il tutto con la stessa diligenza.

Alla colla può anche essere sostituita la gomma arabica: due once bastano per quattrocento boccali di vino; versata essa viene in fina polvere sul liquido, e poi agitata.

I vini non devono essere travasati, se non quando sono ben fatti: se il vino è verde, duro e zuccheroso, conviene lasciargli passare sulla feccia la seconda fermentazione e non travasarlo che verso la metà di maggio; si potrà lasciarlo così anche fino verso gli ultimi giorni di giugno, se continua ad essere verde.

Succede anche talvolta, che si è costretti a ripassare i vini sulla feccia, e confonderli gagliardamente con essa, per dar loro nuovamente un moto di fermentazione, che deve perfezionarli.

Quando i vini di Spagna sono intorbidati dalla feccia, Miller c’insegna, che chiarificati vengono con la procedura seguente:

Si prendono degli albumi d’uovo, del sale bigio, e dell’acqua salata; si mette tutto ciò in un vaso comodo, se ne leva la spuma, che si form aalla superficie, e si versa questa composizione in una botte di vino, dalla quale ne fu già estratta una parte; dopo due o tre giorni il liquore si chierifica, e diventa grato al gusto; se lo si lascia riposare così per otto giorni, e poi si travasa.

Per rimontare un vino chiaretto, guastato da una feccia volante, si prendono due libbre di selci calcinate e triturate, dieci o dodici albumi d’uovo, un buon pugno di sale; si sbatte il tutto in otto pinte di vino, e poi si versa nella botte: due o tre giorni dopo si travasa.

Queste composizioni variano all’infinito: vi si fa entrare alle volte l’amido, il riso, il latte, ed altre sostanze più o meno capaci d’inviluppare i principi che intorbidano il vino.

Il vino può essere anche chiarificato, e corretto del suo cattivo gusto, facendolo smaltire sopra alcune toppe di faggio, precedentemente scortecciate, bollite nell’acqua e disseccate al sole od al forno; quattro litri circa di queste toppe bastano per una botte di vino. Producono esse nel liquore un lieve moto di fermentazione, che lo chiarifica in ventiquattro ore.

L’arte di tagliare i vini, di correggerli l’uno coll’altro, di dare del corpo a quelli che sono deboli, del colore a quelli che non ne hanno, una grata fragranza a quelli che ne mancano o che hanno un cattivo odore, non potrebbe essere insegnata.

Consultare bisogna sempre a tal uopo il gusto, l’occhio e l’odorato; studiare la natura variabilissima delle sostanze, che vi si devono impiegare; ci contenteremo dunque di far osservare, che in tutta questa parte della scienza di manipolare i vini il tutto si riduce: 1 a raddolcire ed inzuccherare i vini con l’addizione del mosto cotto, del miele, dello zucchero, o d’un altro vino squisito; 2- a colorare il vino con un’infusione di pani di girasole, d’estratto di bacche di sambuco, di legno di campeggio, e soprattutto col miscuglio d’un vino assai nero e grosso; 3-a dar fragranza al vino con lo sciroppo di lamponi, con l’infusione di fiori di vite, sospesi nella botte legati in mazzetti, come si pratica in Egitto, secondo la relazione d’Asselquist; 4-a mischiare l’acquavite con quei vini che si vogliono rendere più forti, per adattarli al gusto di certi popoli e di moltissimi consumatori.

Quantunque i vini possano muoversi in tutti i tempi, vi sono nondimeno delle epoche dell’anno, nelle quali la fermentazione sembra rinnovarsi in una maniera speciale, e ciò accade soprattutto quando la vite comincia a gettare, quando essa è in fiore e quando l’uva si colora. Questi sono i momenti critici, nei quali sorvegliati esser devono i vini in modo particolare, e si potrà prevenire ogni movimento di fermentazione, travasandoli e solforandoli come abbiamo indicato.”

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