A questo argomento, che come è noto covo da diversi mesi, ho deciso di dare una veste diversa. Si tratta di un racconto. Scrivere racconti è una delle cose che negli ultimi mesi ho scoperto piacermi, e chi meglio dei maghi e dei supereroi della degustazione poteva diventare uno dei miei personaggi? Naturalmente qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistenti è del tutto casuale. Tutto frutto della mia fantasia. Il titolo è quello di una canzoe di Gianna Nannini, quella che parla del sudore.
Brivido Animale
di Alessandra Biodi Bartolini
La sala illuminata era quella delle grandi occasioni. Dentro dieci file di tavoli apparecchiati con tovaglie candide tante serie di bicchieri, quelli a tulipano grande che si chiamano anche balloon, i palloni della degustazione.
In un’atmosfera tra il mondano e il sacro i partecipanti al corso per sommelier, agghindati per l’occasione, e gli ospiti francesi, guardati con reverenza, cominciarono a sedersi di fronte ai bicchieri vuoti e ad attendere che lo spettacolo avesse inizio.
Stasera andavano in scena i Pinot noir francesi di Domaine de Boisson un’eccellenza da degustare alla presenza del suo stesso artefice, Messieur De Boisson, seduto in prima fila. Ma soprattutto stasera andava in scena Lui, Luigi Mosconi, il Mago della degustazione, il più famoso, invidiato e discusso blogger enologico del paese, colui che con un’annusata poteva ribaltare le sorti di un’intera azienda viticola, portandola sugli altari o spingendola agli inferi.
Colui il cui naso, si diceva, era assicurato per cifre astronomiche.
Oggi però, come spesso del resto, Mosconi, invitato a presentare i suoi vini dal produttore francese, recitava un soggetto già scritto …o quasi.
Vanessa si era appassionata di vino negli apericena che almeno una volta alla settimana si concedeva con i colleghi dell’ufficio nello winebar più trendy di Milano. Poi era venuto il corso per sommelier e l’ebrezza di far parte dell’elite di coloro che “ci capiscono” non l’avrebbe abbandonata facilmente.
Non era così per Marco, il suo compagno, che gli apericena li evitava accuratamente e con gli amici andava più volentieri al pub a farsi una birra. Stasera però Marco non era riuscito a sottrarsi alle insistenze di lei e con la promessa di sedersi in ultima fila e di non doversi mettere la cravatta, l’aveva accompagnata.
Il silenzio calò nella sala quando Mosconi, magro e allampanato in dolcevita nero e naso (quel naso!) in aria entrò nella sala, mentre i camerieri ad un cenno del métre cominciavano a mescere i vini nei bicchieri.
Il prologo, la descrizione del terroir e del più nobile tra i vitigni, le Roi, il Pinot Noir, fu una profusione di emozioni, un esercizio di stile nel quale Mosconi non era secondo a nessuno. Dopo presentazioni come le sue anche un bicchiere di acqua sporca poteva diventare semplicemente sublime. E tutto senza che nessuno dei vini fosse stato ancora neppure sfiorato: il cerimoniale prevedeva che il primo a roteare il calice, affondarvi il naso (quel naso!) e lambirlo con le labbra sottili e anemiche fosse lui, il Divino Mosconi e che solo dopo la sua descrizione gli altri lo seguissero.
E così nel silenzio generale il Pinot Nero 2002 di Domaine de Boisson brillò giocando e ondeggiando nel bicchiere del degustatore che finalmente, e nell’emozione generale, vi affondò il naso (quel naso) per restare poi, nella più assoluta impassibilità, lievemente interdetto mentre un pensiero si faceva strada in lui: “cazzo, questo vino puzza!”.
Il temibile difetto, descrivibile con aggettivi poco edificanti come animale, stalla o sudore di cavallo, prodotto dalla contaminazione del lievito Brettanomyces, chiamato dagli americani con il diminutivo di Brett, come se l’assonanza con il divo di Hollywood più amato dal pubblico femminile potesse rendere meno odiosa la sua presenza, si era impossessato del Principe dei vini.
Ma, ahimè, tra quel vino e l’Achille cinematografico l’unica affinità era purtroppo soltanto il sudore.
Mosconi sondò in un istante due possibilità: la prima la più sincera era di dichiarare la defiance e chiedere la sostituzione della bottiglia ma fu spazzata via dallo sguardo compiacente di Messieur De Boisson che deliziato dal suo stesso vino (lui aveva la deroga all’assaggio) lo guardava annuendo: “vai avanti, carissimo, vai avanti” diceva in silenzio dondolando la testa.
La seconda possibilità consisteva nel procedere e puntare tutto sull’effetto “onda”, già sfruttato tante altre volte.
L’effetto “onda” era quel fenomeno per cui quando il soggetto che conduce la degustazione esprime il suo parere su un vino, descrivendolo in tutte le sue caratteristiche con quelli che, riconducendo ad aromi diversi, vengono appunto chiamati descrittori, i presenti (che si sarebbero probabilmente limitati ad un “buono” o al massimo si sarebbero sbilanciati in un “senti che profumo!”) cominciano a percepire e a riconoscere uno alla volta tutti i sentori citati e tale effetto di suggestione si estende come un onda a tutti.
L’effetto “onda” era poi tanto più efficace quanto maggiore era l’autorevolezza di colui che presentava il vino: nel caso di Luigi Mosconi non aveva mai fallito.
Incurante delle caratteristiche reali del vino Mosconi ripresosi cominciò quindi con espressione estasiata a snocciolare i caratteri più ricercati in un Pinot Noir di qualità superiore.
“Avvertite la nota dominante di cassis e di ciliegia acida” e l’onda cominciava a propagarsi “ Senti il cassis, senti?” “ma come ha detto la ciliegia acida?” “Ecco cos’era questo che sentivo, la clieigia acida!” e così via l’onda procedeva travalicando anche le barriere linguistiche e investendo anche gli enoappassionati francesi “Me oui, le cassis, naturalment”. E così arrivò l’onda della mora selvatica e quella della mineralità, una dopo l’altra dalla prima all’ultima fila il Pinot Noir di Domaine de Boisson sembrava avere salvato le sue sorti.
Anche Vanessa nell’ultima fila fu investita dall’onda “senti Marco, senti che cassis, e la mineralitè, sembra quasi di toccarlo quel terroir della Bourgogne” dichiarò emozionata spingendo il bicchiere sotto il naso del fidanzato che si chinò sul bicchiere per poi ritrarsene perplesso “Mah, ma sei sicura? Per me sa di merda!”.
Vanessa si fece rossa in viso e allontanato il bicchiere (e un po’ anche la sedia) da colui che aveva osato tanta blasfemia, si guardò intorno per accertarsi che nessuno avesse sentito. Ma era troppo tardi, il velo era stato squarciato e già l’onda era ripartita nel verso contrario e nella fila davanti già si bisbigliava “Come ha detto? di merda? In effetti un pochino” e poi “Senti come si sente, è proprio merda!”, “Me oui la merde”. Alla fine il disagio era generale e l’onda arrivò a Mosconi.
Ma il Re non era irrimediabilmente nudo, Mosconi aveva l’asso nella manica, il kit per rammendare lo squarcio e restituire a se stesso e al vino l’immeritata nobiltà: le madeleine di Proust.
“Chi non conosce la storia delle madeleine di Proust? Quel biscotto il cui aroma richiama nel grande autore francese un’epoca felice, quella dell’infanzia e in tal modo è in grado di sollevare un’anima infelice. Hanno questo potere tutti gli aromi percepiti nell’infanzia, quelli che ci riconducono all’età della spensieratezza.. E chi in quell’età non è entrato felice nella stalla della nonna dove si mungeva il latte, chi non si è avvicinato trepidante ed emozionato alla scuderia dell’agriturismo delle vacanze? Sentite, questo carattere che potremmo definire “animale” che qualcuno, poco avvezzo alla degustazione, un povero in spirito direi, potrebbe definire sgradevole, è l’essenza della ruralità. La ruralità più vera, della quale oggi Messieur De Boisson ci ha fatto graditissimo dono.”
Sbigottiti gli enoappassionati lo guardavano con ammirazione mentre riaffondavano il naso nei bicchieri e l’onda ripartiva dal rammendo ormai compiuto: “Che ricordi! “senti è vero, è il profumo della ruralità!”, “Me oui, la ruralité!”.
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Non posso che confermare il commento di Costanza, critiche comprese, anche perché di parole io più o meno ci vivo… Certo al contrario del Divino Mosconi non sarei mai così pronto a rifrangere l’onda! 🙂
Ah, la ruralité! eheheh
Che dire Alessandra, mi son fatta quattro ghignate rivivendo scene viste più e più volte. Il potere delle parole, che ti permettono di dire e non dire, e la capronaggine di molti, che sopportano anche l’odore di m nel bicchiere pur di non discostarsi dal gregge. E una certa “casta” ha grandi responsabilità in tutto ciò.